Il diavolo veste... Nike?
Si potrebbe dire che le sneakers sono diventate una vera religione, ma cosa succede quando moda e religione si fondono e si scavalca il limite tra sacro e profano sfruttando nell’industria del fashion un tema tanto delicato?
Qual è il limite tra customizzazione, arte, contraffazione di marchio e concorrenza sleale e semplice cattivo gusto o blasfemia?
Una recentissima vicenda d’oltreoceano affronta proprio queste tematiche e vede contrapposte da un lato MSCHF Product Studio, Inc., il collettivo artistico newyorkese famoso per le proprie iniziative irriverenti e la capacità di dare il via a campagne di marketing virali, dall’altro Nike che certamente non ha bisogno di presentazioni.
Oggetto del contendere sono 666 calzature originali del modello Nike Air Max ’97, contraddistinte dall’iconico Swoosh di Nike e dall’inconfondibile trade dress ma recanti delle vistose alterazioni, frutto della collaborazione del collettivo con il rapper Lil Nas X, tanto da essere ribattezzate “Satan Shoes” (scarpe di Satana).
Segni particolari:
- un pentagramma in bronzo come pendente tra i lacci e impresso nella fodera interna delle calzature;
- una croce rovesciata sulla linguetta;
- ricami in rosso sulla tomaia che rinviano al versetto (il 10:18) in cui nel Vangelo di Luca si parla del diavolo;
- e soprattutto, una goccia di sangue umano mischiata ad un liquido rosso iniettato nei cuscinetti d’aria tipici della suola delle Air Max.
Immediata la pioggia di critiche ma, il 29 marzo 2021, in meno di un minuto dal loro lancio in rete e nel pieno della Settimana Santa, 665 di 666 paia di sneakers, considerate “da collezione”, sono state vendute al prezzo di 1.018 $ al paio.
MSCHF non è certamente nuovo alle provocazioni di natura religiosa.
Nel 2019 aveva infatti rivenduto come “Jesus Shoes”, alla cifra di 3.000 $ al paio, 24 paia di calzature Nike dello stesso modello, in versione total white, dopo avere aggiunto un crocefisso tra i lacci e riempito i cuscinetti con del liquido azzurro e una goccia di acqua santa proveniente direttamente dal fiume Giordano. Nike al tempo non aveva ritenuto opportuno intervenire.
Questa volta però, complice il riferimento a Satana in una delle settimane più sacre dell’anno per la religione cristiana, il progetto ha suscitato polemiche accese da parte dei consumatori che si sono scatenati nei social media invitando a boicottare Nike a causa della sua presunta associazione con le scarpe considerate blasfeme e la conseguente promozione del satanismo.
Inevitabile una reazione aggressiva della multinazionale statunitense che è ricorsa alle vie legali lamentando la contraffazione e la diluizione del proprio marchio, la violazione delle norme in materia di concorrenza sleale e richiedendo, oltre all’inibitoria della condotta di MSCHF, il risarcimento dei danni da essa derivanti.
Nike ha subito ottenuto un provvedimento cautelare volto a impedire a MSCHF di proseguire nella vendita delle “Satan Shoes”…ma si è trattata di una vittoria solo sulla carta visto che 665 paia erano già state vendute e spedite in tutto il mondo.
La disputa, che minacciava di essere più sanguinosa della scarpa in oggetto, si è già risolta con un accordo stragiudiziale.
Ciononostante, molte questioni su cui riflettere anche per futuri analoghi episodi rimangono aperte.
Ad esempio, le “Satan Shoes” hanno costituito un esercizio di libertà di parola oppure si è trattato di una condotta contraffattoria e anticoncorrenziale?
E ancora, MSCHF avrebbe potuto basare le sue difese sulla dottrina statunitense della “prima vendita”, simile al nostro esaurimento, che consente al proprietario di un prodotto di rivenderlo, anche se il prodotto è protetto da copyright, marchio o altro diritto di proprietà intellettuale?
E poiché le “Satan Shoes” mantengono l’iconico Swoosh di Nike e il tipico trade dress, si sarebbe potuto fondatamente sostenere che vi era un concreto rischio che i consumatori potessero essere ingannati nel credere che Nike ne fosse la produttrice o comunque ne avesse approvato le alterazioni? Si sarebbe quindi potuto parlare, come ha argomentato Nike alla luce della sollevazione popolare e del clamore suscitato, di rischio di confusione, anche inteso come post-sale confusion, di pregiudizio al carattere distintivo del proprio marchio (dilution by blurring) o della sua notorietà (dilution by tarnishment)?
O viceversa, MSCFH avrebbe potuto affidarsi alla tutela accordata dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola? Dopotutto questo argomento ha già avuto successo negli Stati Uniti quando un marchio è stato usato in chiave chiaramente umoristica o nel contesto di una denuncia sociale, in modo tale che sia improbabile per i consumatori credere erroneamente che il proprietario del marchio ne sia autore o ne abbia autorizzato l’uso…
Possono quindi le calzature in questione essere considerate “artisticamente rilevanti”, “non esplicitamente fuorvianti” e/o “non commerciali” come avvenuto nei celebri casi Mattel Inc. v. Walking Mt. Prods.1, VIP Prods. LLC v. Jack Daniel’s Props., Inc.2 e come sostenuto da MSCFH secondo cui le “Satan Shoes” sarebbero delle opere d’arte numerate e il cui messaggio artistico, vale a dire “l’assurdità della cultura della collaborazione praticata da alcuni brand, e la perniciosità dell’intolleranza” sarebbe stato semplicemente amplificato dal procedimento legale?
Oppure non c’è niente di artistico nelle “Satan Shoes” e in ogni caso, anche a voler parlare di arte, MSCHF avrebbe incorporato più del necessario il trade dress di Nike, compreso il famoso baffo, per veicolare il proprio messaggio?
E infine, la tolleranza dimostrata da Nike nel 2019 nei confronti delle “Jesus Shoes” di MSCHF, avrebbe portato quest’ultima a confidare nel fatto che Nike avrebbe adottato lo stesso atteggiamento anche verso i progetti futuri?
A parte le numerose ed intricate questioni legali, anche l’accordo tra le parti presenta aspetti molto interessanti.
Nike e MSCHF hanno infatti concordato che MSCHF emetterà un richiamo (ma solo) volontario sia per le “Satan Shoes” che per la versione simile ed opposta denominata “Jesus Shoes”, offrendo rimborsi agli acquirenti che desiderino restituire le calzature. Per quei consumatori che opteranno invece per la non restituzione, nessuna contestazione a Nike sarà possibile nel caso di difetti o problemi legati alle medesime. Unica responsabile sarà MSCHF.
Mossa astuta da parte di Nike che da un lato si dissocia dall’iniziativa del collettivo artistico dall’altro si dimostra consapevole che un richiamo obbligatorio delle due versioni di sneakers da collezione non avrebbe comunque giovato alla sua popolarità.
Dopotutto la cultura delle sneakers attribuisce un valore sostanziale a questo genere di collaborazioni artistiche che sono in parte moda e in parte provocazione sociale. Inimicarsi o rendere diffidenti nei confronti del proprio marchio i c.d. sneakerhead, vale a dire i collezionisti di sneakers, che sono potenzialmente in grado di influenzare il mercato in cui Nike stessa opera e che in pochissimo tempo si erano accaparrati dei modelli dell’edizione limitata, avrebbe potuto essere molto più controproducente di un’associazione blasfema del prodotto alterato al prodotto originale.
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1 Fotografie di bambole Barbie che offrivano una critica all’oggettificazione delle donne nella società odierna sono state considerate artistiche, parodistiche e in quanto protette dal Primo Emendamento, nonostante il diritto di Mattel sui suoi marchi e sul trade dress di Barbie.
2 Giocattolo per cani a forma di bottiglia di whiskey Jack Daniel’s non perseguibile ai sensi della legge sulla diluizione perchè il trade dress era usato per trasmettere un messaggio umoristico ed era quindi “non commerciale”.
Federica Brendolin